Su Instagram ci si sta molto tempo per gestire il proprio piccolo orticello, si condividono contenuti, si commenta, si risponde, si seguono persone e aziende, con la semplicità di avere tutto in uno schermino di pochi pollici. Capita anche di conoscere persone reali e di seguirne le tracce costruendo uno scambio reciproco costante, un collegamento virtuale da un telefono all’altro. Ho avuto il piacere di confrontarmi spesso con Clizia Zuin, Miglior Sommelier Donna 2019, veneta di origine ma toscana (Firenze) di adozione, una passione travolgente per il vino che si esplicita in molti assaggi di bottiglie non usuali raccontate con il giusto piglio, non troppo serio ma neanche pressapochista. Ho voluto rivolgere qualche domanda a Clizia che ringrazio per il tempo che mi ha dedicato: ora è tutta per voi!

Intervista - Clizia Zuin - Sommelier

IBT: Ciao Clizia, benvenuta su IoBevotanto!

CZ: Che emozione! (ndr. prende in giro…)

IBT: Puoi presentarti ai miei lettori?

CZ: Nata in Veneto, adottata in Toscana. Sono sommelier A.I.S. dal 2011, relatore per i corsi A.I.S. e sono arrivata 6° al concorso nazionale A.I.S. Miglior Sommelier d’Italia, miglior donna d’Italia 2019. Da un anno lavoro come assistente sommelier al ristorante Borgo San Jacopo, una Stella Michelin, Firenze. Amo cibo e viaggi e chiacchiero in 5 lingue diverse grazie ad una laurea Magistrale in Lingue Orientali.

IBT: Da dove nasce la tua passione per il vino?

CZ: È tutta colpa di mio padre: tutti i pomeriggi di Natale della mia infanzia e adolescenza li passavo con la guida di Veronelli in mano riordinando le decine di casse di vino che i vari fornitori gli regalavano. Alla fine dovevo decretare i “buoni” che avevano donato le bottiglie acclamate da Veronelli, e i “cattivi” che non si erano sprecati più di tanto. Ricordo tra i “buoni” un Cepparello 1990 descritto in Guida in modo sublime e ricordo quando lo assaggiai: fulminata e tramortita da tutti quei tannini (in Veneto non abbiamo il tannino e nemmeno gli enzimi per digerirlo, in tanti non si riprendono più!), ma quella sensazione me la ricordo ancora ora, mi serve per individuare il sangiovese alla cieca, ovviamente oggi il Cepparello lo adoro, e con tutti i tannini bevuti, ora sono vaccinata a vita. Ok, questa è la versione ufficiale, ma credo che in realtà sia tutta colpa di mia madre che mi ha confessato che a 6 mesi, quando hanno cominciato a crescermi i primi denti da latte, mi ha massaggiato ripetutamente le gengive con la grappa fatta in casa da mio zio per farmi calmare, un po’ come la pozione di Obelix; quindi oggi “io bevo tanto” senza ubriacarmi.

IBT: Il mondo del vino è ancora prettamente maschile: cosa pensi si debba fare per garantire la parità in questo settore?

CZ: La parità deve essere chiara nella mente degli uomini e devono essere gli uomini a farla rispettare e a far notare ai propri colleghi gli eventuali errori di valutazione in cui incappano. Se la facciata è seria, ma poi appena mi giro sento sghignazzare commenti tipo “è acida perchè ha il ciclo”, allora non ci siamo. È proprio questo tipo di machismo svilente che può risultare frustrante per chi non ha il pelo sullo stomaco o per alcune giovani donne preparate che si avvicinano al mondo della sommelierie per la prima volta. Le donne che lavorano in questo mondo sono fantastiche, hanno una marcia in più e quasi sempre sono così scafate che riescono ad unire professionalità, femminilità e due palle così in ogni occasione di lavoro e fuori.

IBT: So che hai partecipato a competizioni tra Sommelier: come vedi questa pratica?

CZ: Lo consiglio vivamente. Ero arrivata ad un punto morto della mia carriera didattica e avevo pochi stimoli, poi quelli che sono stati gli ultimi 2 campioni italiani e toscani dei concorsi mi hanno letteralmente trascinata e convinta a fare la scuola concorsi e studiare insieme. Innanzitutto ho ricevuto le basi per imparare a degustare in modo più analitico e poi è stato un modo per “think outside the box”, come dicono gli inglesi, perchè la materia è davvero vasta e perché mi sono innamorata di tanti vini (ommioddioommioddio!) della Napa Valley e dell’Oregon e inoltre ho imparato tanto: la mia vera vittoria non è stata arrivare sesta al nazionale, ma aver acquisito le competenze necessarie per poter dialogare di vino a qualsiasi livello: geologico, chimico, fisico, ampelografico etc..

IBT: Cosa ne pensi della degustazione alla cieca?

CZ: È difficilissima. Ci vuole un dono. Per chi non ha questo dono, ci vuole la capacità di saper vivisezionare un vino ed analizzarne ogni singola parte. Bisogna avere anche un mentore (possibilmente gratis) in grado di aiutarci a capire le sfumature e gli abbagli che normalmente si prendono. La degustazione alla cieca è utile: quando siamo davanti ad un vino nudo, non ci sono paracaduti, rischiamo di fare delle figuracce. Ma la cosa più bella che ci possa capitare è che ci piaccia un vino che avevamo sempre snobbato e viceversa.  

IBT: Quale è l’aspetto più difficile da affrontare?

CZ: Ora che provo ad assaggiare vini da tutto il mondo, quando il portafoglio me lo consente, l’aspetto più difficile è individuare latitudine e continente; il vitigno con un po’ di esperienza diventa relativamente semplice, a meno che non sia un koshu giapponese o similia, ma generalmente le varietà si riducono a massimo 30.

IBT: Come tanti, ho visto il documentario SOMM e sono rimasto impressionato dai candidati, dalla preparazione estrema e dalla competenza assoluta: come si può arrivare a indovinare i vini alla cieca?

CZ: Adoro SOMM e per me è una delle serie più motivanti che esistano. Mai e poi mai trascurare l’aspetto visivo, l’esame dell’aspetto del vino ci dice molto più di quello che possiamo immaginare. Ci vuole memoria e tante degustazioni. Ci vuole un mentore come dicevo poco prima e il dono sacro dell’autismo enoico. Io non sono enoicamente autistica, perciò annoto tutti i vini che bevo, anche il Tavernello, lo giuro. Gli appunti delle degustazioni me li rileggo sempre il giorno dopo per cercare di fissare nella memoria quel determinato vino. Se è un vino famoso cerco un aggettivo che lo qualifichi e che mi riporti a lui, per esempio per me i vini di Castello di Monsanto, hanno tutti una nota di succo ai frutti di bosco con speck, non chiedetemi perché, ma questo mi aiuta ad identificarli subito. Conoscere il produttore, visitare la cantina e la vigna, sono azioni indispensabili soprattutto per il confronto con chi quel vino lo fa: hai presente il libro “Di Viole e Liquirizia” di Nico Orengo? *Attenzione spoiler*, alla fine il protagonista indovina il vino alla cieca perché il vino ha gli stessi aromi e la stessa texture del suolo della vigna in cui viene fatto, si parla di pura magia, nulla di lontanamente scientifico, ma per me funziona.

IBT: Come funziona il tuo metodo per indovinare alla cieca? 

CZ: Più che indovinare, va capito il vino. Sono due cose diverse. Di Luca Gardini ce n’è solo uno, è inutile cercare di diventare come lui. Invece, capire il vino è alla portata di tutti. La parte olfattiva mi aiuta a capire da dove proviene la bottiglia: alcuni profumi di sottobosco di un vino rosso caratterizzano i climi freddi, gli aromi di frutta matura o in confettura caratterizzano i vini da luoghi caldi, se poi queste deduzioni trovano riscontri anche al palato, allora siamo a buon punto. La seconda analisi è il vitigno: ognuno ha la sua caratteristica, la sua personalità, va saputa individuare, bisogna aver bevuto tanto in questo caso ed essere in possesso delle proprie mappe mentali. Poi si prova col produttore e l’annata. L’annata è la cosa più difficile da capire, dipende molto da come e dove è stata conservata la bottiglia.

IBT: Quando ti sei accorta di esserne capace e hai iniziato a “indovinare” con maggiore frequenza?

CZ: Quando il mio sesto senso cominciava a muoversi agilmente e con sempre più sicurezza durante le degustazioni guidate dei guru, quando la mia mente ragionava come loro e comunque dopo svariati anni di esercizio. Altre volte ho lasciato campo libero alle mie emozioni: a volte un vino si ricorda più facilmente perché di quella bottiglia ricordiamo il momento speciale di quando lo abbiamo bevuto la prima volta.

IBT: Quali sono i tuoi vini preferiti, quelli che porteresti su un’isola deserta?

CZ: Solo bollicine, potrei campare per il resto della mia vita semplicemente con Champagne. Porterei Dom Perignon, ma non il P3. L’anno scorso sono rimasta folgorata da Winston Churchill 2008 di Pol Roger, per me è stata la miglior bottiglia del 2019, più persistente del super Brunello che aveva accanto; porterei il mio primo amore Jacques Selosse, ma l’Initial, se il budget fosse basso allora la famosa triade in questo ordine: Frédric Savart o Brochet o Laherte Frères, va bene qualsiasi etichetta.

Intervista - Clizia Zuin - Sommelier Jacques Selosse

IBT: Quale il vino che ti è piaciuto di più finora, il tuo “top del sogno”?  

CZ: Tanti vini mi hanno colpita e talvolta commossa ed è ingiusto nominarne uno solo, ma ricordo un Clos de Tart 2010 stappato nella barricaia dopo aver molestato tutte le botti presenti; M di Montevertine 1985, il bianco che purtroppo non esiste più, ma che dovrebbe essere insegnato alle scuole di enologia di oggi; il Brunello di Montalcino Il Colle 1981, epoca Giulio Gambelli, il vino che mi ha rovinato la vita: ogni altra bottiglia maggiorenne sembra una vecchietta vicino a quel sangiovese; nel cuore ho il Madonna delle Grazie 2010 de Il Marroneto: mi ha insegnato a capire le caratteristiche di un vino straordinario e perfetto esattamente come il Monfortino 2010 (magnum); Mouton Rotschild 2009 perché a Bordeaux fanno dei vini della madonna, solo che sono troppo costosi (e allora andiamo in fissa per lo Jura); Bâtard-Montachet 2014 di Pierre Morey: l’illuminazione; il Grands-Échézeaux di DRC perché è un vino imponente, ma concludo con una 3 litri di Montevertine 1980 che il mio ragazzo ha biecamente sfruttato per conquistarmi. Ho il grande rammarico (se qualcuno volesse contribuire alla causa [ndr condivido la richiesta]) di non aver mai bevuto un goccio di Soldera, Château Cheval Blanc, Petrus e Opus One, ma è l’obiettivo dei prossimi 6 mesi.

IBT: Se volessi scendere in campo e iniziare a produrre, in che zona apriresti un’azienda?

CZ: Amo lo Champagne, ma non potrei mai vivere nella Champagne per via del clima. Adoro il Barolo, ma non mi sono mai innamorata del paesaggio langarolo (ndr non ci credo!). Invece amo la Toscana e dopo 12 anni qui, ancora mi abbaglia la bellezza del Chianti Classico, anche perché è una zona ottima per la produzione di vino senza troppe sorprese meteorologiche e perché è un brand solido. Ma se il surriscaldamento globale dovesse continuare a creare così tanti problemi, allora vado a Volnay, è stato amore a prima vista, con la speranza di avere Jasper Morris come vicino di casa, so che vive lì.  

IBT: I tuoi progetti per il futuro?

CZ: Spero che i prossimi concorsi mi portino di nuovo sul podio e spero di poter continuare l’attività di divulgatrice del vino in ogni lingua che conosco e che questo mi porti a viaggiare. Ci sono altri progetti e sono pure grossi, ma per scaramanzia non posso dire nulla.