Tenuta San Leonardo è un nome evocativo nel panorama vitivinicolo italiano, qui si crea uno dei vini d’eccellenza della Penisola, il San Leonardo, che poggia sulle solide basi di una famiglia che qui vive da generazioni, con una storia articolata e un fazzoletto di terra dove le vigne sono solo parte dell’insieme. Ho avuto il piacere di varcare i cancelli di San Leonardo e da subito ho avuto l’impressione di essere entrato in un luogo fuori dallo spazio, dove il tempo da lineare diventa fluido, con un ampio ventaglio di stimoli storici, architettonici, paesaggistici e vitivinicoli. Una visita che di sicuro ricorderò per sempre e che idealmente consiglio a tutti, per avere la possibilità di connettersi indissolubilmente con questa perla rara.
Ho pensato bene di scambiare qualche parola con Anselmo Guerrieri Gonzaga, la persona che insieme al padre Carlo segue le operazioni a San Leonardo, regalando al mondo i suoi splendidi frutti enoici. Sentiremo ancora parlare di Anselmo Guerrieri Gonzaga per i grandi vini che farà, non tanto per eredità acquisita, quanto per la volontà che mi ha trasmesso. I miei ringraziamenti ad Anselmo, alla Tenuta e a Valentina Raineri che ha coordinato il tutto.
IBT: Buongiorno Anselmo e benvenuto su IoBevoTanto. Parto da una osservazione più ampia sul territorio trentino in cui vi muovete. Come vi sentite a essere una mosca bianca nel trentino, ovvero circondati da altre entità con numeri più importanti e un occhio verso la quantità?
AGG: La conformazione del Trentino è particolare e tante realtà sono collegate a un elemento sociale differente dal nostro, ovvero le cooperative. Ho stima di alcune cooperative, tra cui Cavit e del suo direttore Enrico Zanoni, una persona molto intelligente e che sa gestire molto bene il patrimonio dell’azienda.
Stiamo lavorando in due modi diversi: mentre noi lavoriamo nel campo dell’edonismo, le cooperative sono orientati a un ruolo alimentare. D’altra parte è impossibile che tutti i vini siano costosi e ambiti, è necessario che ci siano vini buoni che siano a disposizione di tutti, ovvero vini fatti bene, curati, con standard qualitativi altissimi, e in fondo c’è solo da imparare da un’organizzazione come Cavit e altri.
Quando invece si parla di vini che possano raccontare un territorio, con un’artigianalità spiccata, ecco che entra in gioco San Leonardo.
La competizione in altre zone fa gioco a tutti perché va a elevare la qualità del singolo che cerca di spiccare sui vicini di casa, una competizione positiva che si riflette nel libero mercato. Qui da noi le cooperative si spartiscono l’87% del territorio e forse viene un po’ meno la voglia di stravolgere le regole.
Devo dire che Cavit con Altemasi ha fatto una linea di prodotti molto interessanti, che di sicuro avranno da dire molto anche in futuro.
IBT: Mi piace sottolineare inoltre l’apporto di uve particolari che oggi sembrano dismesse in Trentino, parlo ovviamente del carmenére che da voi è ingrediente essenziale.
AGG: Di carmenére un tempo la valle era colma, non avendo però mai compreso cosa fosse in realtà, i contadini lo chiamavano cabernet. Si utilizzava la pergola con una produzione elevata, 200 chili per pianta, per fare vini decisamente difficili da bere. Il carmenére è un’uva che va gestita, avendo molte problematiche legate a un’intrinseca delicatezza. Mio padre racconta che tempo fa la valle era rossa, proprio per il carmenére. In un momento successivo, in tutta la valle si è preferito espiantare il carmenére per sostituirlo con il pinot grigio, la terra è ricca e per i contadini dell’epoca il pinot grigio dava maggiore quantità con minori problematiche. Le cooperative si vanno a inserire in questo contesto, proseguendo la strada della produzione di quantità. Mi piacerebbe che i progetti delle cooperative siano inseriti in un contesto internazionale prediligendo la qualità assoluta con maggiore precisione.
IBT: C’è la possibilità oggi di aprire o prendere in gestione una cantina nella vostra zona e aprire un progetto legato alla qualità?
AGG: Certamente, ci sono anche piccole realtà che si stanno dando un gran da fare per portare in alto la qualità. Il problema è l’elevata parcellizzazione del territorio, la proprietà media è di 1.4 ettari per famiglia e si tramanda poco il DNA dell’impresa, prediligendo le conoscenze legate alle cooperative. Posso menzionare Roeno, Borgo dei Posseri, Maso Corno che lavorano bene e fanno ottimi vini: queste cantine si stanno muovendo in questa direzione, la terra ha anche un certo costo per ettaro e ci vogliono investimento importanti, specialmente all’inizio dell’impresa. Penso che però ci sia un po’ di miopia di marketing del prodotto, noi dobbiamo vendere a tutto il mondo e dobbiamo conoscere il mercato. A San Leonardo abbiamo un occhio alle nostre radici e un occhio al mercato, per evitare da un lato di fare un vino soltanto per il consumatore, e dall’altro evitare di fare un vino solo per noi che poi non riscontra favori fuori dalla cantina. Dobbiamo confrontarci con il territorio fuori dal nostro, ed è in questa ottica che abbiamo deciso da tempo di fidarci di un enologo non del territorio per garantirci uno sguardo esterno.
Il successo di San Leonardo è dovuto, secondo me, proprio a questa attenzione particolare al mondo esterno, e per questo devo ringraziare chi mi ha preceduto.
Il mio trisnonno, un diplomatico che girava per l’Europa, aveva collezionato Riesling, il Borgogna bianco e nero (Chardonnay e Pinot Nero) e carmenére che portava a casa. Sua sorella ha tenuto in diario con cui ci ha tramandato notizie e aneddoti della cantina, una miniera di informazioni sulle ricerche del trisnonno. Mio nonno è stato un ottimo produttore di cabernet, che in realtà era carmenére, e merlot che venne piantato all’inizio del ‘900 in questa zona.
Mio padre Carlo ha studiato enologia in Svizzera, per cui con uno sguardo attento ai vini internazionali. Si è poi spostato in Toscana dove ha girato per un decennio, avendo un incontro fatale con il Marchese Incisa della Rocchetta, grande amico di mio nonno, che faceva degustare a mio padre a Bolgheri bottiglie degli Chateau francesi che non si trovavano in Italia. Parliamo degli anni ’50 e ’60, in cui parlare di vino di qualità in Italia era difficile, ma il percorso di assaggio con la compagnia del Marchese Incisa ha dato molto da pensare e studiare a mio padre che si è poi ispirato a quest’uomo leggendario per dare sfogo a tutti i suoi sogni.
Alla fine degli anni ’70 mio padre ha importato il Cabernet Sauvignon, lo ha piantato a guyot nel 1978 e da allora si è dedicato alla viticoltura. Nel 1982 ha deciso inoltre di non fare più gli uvaggi ma di parcellizzare e vinificare separatamente ogni parcella, all’epoca una vera rivoluzione. Il ciclo positivo si è affievolito agli inizi del Duemila, e da giovane leggevo i vari giornali e blog su biodinamica e i vitigni autoctoni, tra cui ad esempio il teroldego e il lagrein, a cui mio padre si è giustamente opposto. Non credo che questi vini vedranno mai la luce a San Leonardo. I tre vitigni che ci danno soddisfazione sono il Cabernet, il Carmenére e il Merlot. Il nostro compito principale è non stravolgere ciò che ha fatto mio padre e non tradire la sua visione. In questo ho dato un piccolo contributo decidendo di vinificare il carmenére in purezza, la vera importa di San Leonardo, come dice mio padre il “sale di San Leonardo”
IBT: Direi il “pepe di San Leonardo”…
AGG: Assolutamente vero!
IBT: In tutto questo ecosistema come si configura il vostro rapporto con l’enologo che avete, Carlo Ferrini?
AGG: Carlo Ferrini è un uomo di cui ho grandissimo rispetto e stima, ammiro la sua capacità pazzesca di assaggio (esco proprio ora da una degustazione di circa 70 campioni delle annate 2018, 2019 e 2020). Parliamo prima di umanità, Carlo Ferrini non ha solo il talento indiscusso ma condivide anche il nostro sogno ed è capace di aiutarci nei momenti difficili. É con noi da vent’anni e ci ha aiutato immensamente da un punto di vista del vino, in cui non ha mai stravolto il protocollo Tachis di quindici anni di lavoro con il grande maestro, e con grande umiltà si è confrontato con la pergola trentina. Tachis era un grande mescolatore, Ferrini nasce come agronomo e poi come enologo.
Ferrini si è dedicato alle vigne, proprio perché nei due decenni precedenti al suo ingresso ci eravamo dedicati molto alla cantina, la forma che ha dato alle vigne è rispettosa della pianta e non dei libri scolastici, eliminando anche le forbici elettriche e reintroducendo le forbici a mano, in quello che è stato un grande salto.
Da dieci anni a questa parte stiamo curando anche il fronte del biologico, seguendo la luna e tanti altri piccoli dettagli in cui crediamo a fondo, e i risultati sono fantastici. Ferrini in punta di piedi ha apportato alcuni accorgimenti più in campagna che in cantina. Ci siamo completati a vicenda, seguendo la strada dell’eleganza nei vini, sia con me sia ovviamente con mio padre. I vini di oggi sono anche più pronti, forse perché un tempo c’era più pergola nella ricetta ma anche un clima più freddo. I suoi vini, ad esempio il Giodo, sono fantastici, non solo i vini di punta ma anche i secondi e i terzi vini che in tal senso danno un quadro preciso della situazione della cantina.
IBT: Abbiamo parlato di un personaggio fondamentale nella storia del vino italiano, ovvero il Marchese Incisa della Rocchetta: crede che San Leonardo abbia una vicinanza ideologica con Sassicaia?
AGG: Io bevo Sassicaia da sempre e resta il mio vino preferito di Bolgheri, per me racchiude la vera eleganza di quel terroir. Spesso facciamo degustazioni orizzontali di tutte le bottiglie di Bolgheri perché è un territorio eccezionale, eppure Sassicaia riesce sempre a darmi una sensazione di eleganza eccezionale. Anche la bevibilità di questo vino è straordinaria, non è facile fare un grande vino e dargli anche un’identità precisa, e credo che il nostro legame con loro sia questo. Intendiamoci, sono cento volte più bravi di noi, ma c’è lo stesso rispetto per il palato andando a creare vini bevibili.
Una grande lezione che ho imparato da Albert de Villaine di Romanée-Conti che mi disse durante una cena: un grande vino deve togliere la sete. Una grande verità che racchiude un concetto di vino che si adatta a San Leonardo.
IBT: Come è invece il vostro legame geografico con la Valpolicella, territorio che sorge a pochi chilometri da San Leonardo?
AGG: Non abbiamo legami, a parte le grandi amicizie con persone che hanno creato un territorio straordinario, Quintarelli in primis. L’Amarone non è il vino per noi, va un po’ contro il nostro concetto di vino, dove la concentrazione e la gradazione sono differenti dal nostro vino.
Forse San Leonardo è più vicino a determinati Valpolicella Superiore, penso a quello di Quintarelli che è un vino che bevo spesso ed è straordinario. Tanto di cappello per Romano Dal Forno che ha costruito un’azienda immensa da solo, ha dato enorme valore al tempo che ha trascorso nel lavorare nella sua azienda.
IBT: Per quanto concerne il mercato, quali sono i paesi in cui San Leonardo viene maggiormente apprezzato?
AGG: Oggi siamo tornati ad avere il 58% di vendita in Italia, una statistica di cui vado fiero, amo viaggiare in Italia e amo la cucina italiana, un mondo enorme di diversità da cui, se potessi, non uscirei mai. Quando ho preso in mano la parte commerciale dell’azienda vendevamo circa l’80% all’Estero, come era normale per l’epoca; ci è voluto tanto lavoro per essere più vicini ai clienti italiani, avendo anche il contatto diretto con la persona che poi andrà a degustare i nostri vini.
San Leonardo è molto amato in Svizzera e in Inghilterra, due mercati legati ai vini francesi con una grande esperienza sul taglio bordolese, un ponte tra due culture. La Germania funziona a livello di mercato con logiche differenti dai Paesi menzionati prima.
Abbiamo anche tante enoteche che serviamo in Francia, piccole enoteche che fanno un grande lavoro sul territorio, ed è anche questa una bella soddisfazione.
Ci sono poi mercati molto sofisticati come il Giappone, dove San Leonardo funziona bene, contando che ormai tocchiamo 63 paesi nel mondo.
Penso che rimarremo in questa situazione, anche perché i numeri ci consentono di servire questi Paesi senza tralasciarne altri o abbassando le assegnazioni.
IBT: Ho notato che, come tanti durante il lock-down, avete dato una rispolverata al vostro e-commerce.
AGG: Abbiamo uno shop da una decina di anni ma non lo abbiamo mai sfruttato appieno proprio per non fare concorrenza a nessuno. Durante il lock-down tanti hanno tolto questo tabù, e oggi vendiamo anche attraverso questo canale. Non facciamo una guerra dei prezzi, tenendo anche il prezzo a singola bottiglia leggermente più alto rispetto ai vari shop online, e-commerce che conosco e che apprezzo, avendo avuto il merito di dare una svolta al mercato del vino in Italia.
In questo sottolineo anche il ruolo dei social che seguiamo personalmente da tempo, con un blog e i vari account social, un’esperienza che ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con i clienti e soprattutto senza filtri, sono un amante della verità e se si vuole avere successo bisogna essere onesti per avere un legame reale con le persone che si accostano a noi. É la nostra vita e la raccontiamo così com’è.
IBT: Il vostro TrentoDoc ha una linea grafica differente rispetto al resto dei vini: come si situerà in futuro?
AGG: Il nostro TrentoDoc subirà un distacco dalla linea classica di San Leonardo, ampliando il nostro ventaglio di proposte: a Gennaio 2022 uscirà un nuovo spumante che dovrebbe chiamarsi Riserva Privata di 60 mesi e fra qualche anno avremo anche un cento mesi. Mi piacerebbe creare una vera e propria dépendance di San Leonardo, la bollicine è un esercizio stilistico per noi, più una passione con un approccio enologico differente. Siamo molto soddisfatti del nostro spumante e siamo sempre in ascolto e in osservazione di chi è arrivato prima di noi a fare TrentoDoc, sia la famiglia Lunelli sia tante altre piccole aziende che meriterebbero davvero maggiore attenzione.
Resta comunque una piccola produzione che continueremo a seguire, lo spumante ci appassiona e ci diverte, sia io sia mio padre sia il nostro enologo Ferrini, ma la linea di San Leonardo rimarrà sempre vicina ai valori che abbiamo coltivato in questi decenni.
IBT: Progetti futuri? Cosa vorrebbe fare Anselmo da grande?
AGG: Il progetto imminente è la tutela del nostro territorio, ci siamo certificati come agricoltura biologica, faremo una bonifica di quattro ettari entro l’anno all’interno della Tenuta proprio per avere il controllo totale all’interno del muro storico del Monastero e anche per evitare derive di trattamenti da fuori. Questo è il progetto che mi piace di più, inoltre mi piacerebbe creare una locanda con qualche stanza e un ristorante per completare l’esperienza di San Leonardo. L’obiettivo comune mio e di mio padre è di curare il nostro fazzoletto di terra come fosse un giardino, siamo anche dei grandi appassionati di fiori e di giardinaggio e questo si riverbera nella vigna. I colori dei fiori, infatti, si abbinano bene in ogni caso, anche se parliamo di due colori che teoricamente non potrebbero stare insieme, come viola e giallo.
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