ALDO CONTERNO – MONFORTE D’ALBA – IN CANTINA

Aldo Conterno rappresenta una delle colonne portanti del territorio di Monforte d’Alba: il castello che domina una delle valli della Bussia è impossibile da non notare sulla strada tra Castiglione Falletto e Monforte paese. Ho sempre nutrito stima e anche un po’ di reverenza nei confronti di questa entità, anche perché le note giornalistiche sono assai scarse. Una Cantina apparentemente chiusa e distaccata dal mondo esterno, dalla comunicazione odierna di vignaioli social, affollati premi e contenuti tendenzialmente vuoti.

Ho dunque accolto con sorpresa la conferma da parte di Giacomo Conterno di poter visitare l’azienda: un’altra personale bandierina sulla mappa che sto costruendo da ormai tre anni. I cancelli della cantina sono a ridosso della strada di cui sopra, il cortile è affiancato dagli edifici della Cantina che poi si affacciano su un versante della Bussia, il vero cuore pulsante di questa azienda.

Mi accolgono Giacomo e Alessandro, penultima e ultima generazione di Conterno a occuparsi di questo fazzoletto di terra: Giacomo è da tempo il responsabile delle operazioni mentre Alessandro, nipote, è fresco di laurea in Enologia e ha iniziato a prendersi cura dei dettagli che poi compongono il quadro completo.

Entro con la luce del pomeriggio tardo autunnale e ne esco con il buio: una chiacchierata di tre ore piuttosto fitta negli argomenti che mi introduce al mondo e alla visione della Cantina. Prima di tutto, il centro nevralgico è la Bussia e nessun dogma è applicato in Cantina, ovvero nessuna ricetta enologica è ribadita di anno in anno, quanto la vicinanza fisica e quotidiana con le vigne dà poi la libertà di seguire il frutto in un certo modo, dando vita a vini rappresentativi tanto della collina di provenienza quanto dell’annata.

L’assenza di consulenti esterni è fortemente voluta proprio per evitare una sorta di scollamento tra le attese interne e le volontà esterne, dando piena responsabilità di manovra ai Conterno. Se oggi il Barolo (e il vino in generale) ha una qualità esemplare è anche merito dei consulenti, ma la scelta aziendale è di seguire personalmente ogni attività interna ed esterna. Giacomo mi ribadisce anche la pressoché totale assenza di rapporti con la stampa specializzata, guide incluse: gli sforzi in tal senso andrebbero a minare la qualità del lavoro interno, preferendo lasciare ai vini la parola finale.

Non posso non apprezzare l’alto coinvolgimento filosofico nell’opera di creazione del vino, una dialettica che andrà poi a ripercuotersi negli assaggi. Giacomo si è concentrato a fondo sulla dimensione aziendale senza trascurare di osservare il resto del mondo, vitivinicolo e non, di modo da non dare spazio alla miopia e agli egoismi forsennati. Mentre parliamo si alternano i vini nel calice, partendo dalla classica Barbera d’Alba Conca Tre Pile, passando per Colonnello, Cicala, Romirasco per raggiungere la vetta con l’annata 2006 di Granbussia, adeguatamente scaraffata da Alessandro.

Parlando più squisitamente dei vini, la Barbera è compatta e tesa al palato, favorendo la bevibilità che per tutti i vini della Cantina è un filo rosso. Il Barolo dell’annata 2018 si comporta con generosità: qui l’assenza di materia percepita in altre bottiglie e che ha dato modo di valutare negativamente l’annata nel suo complesso è inesistente, dando vita a vini tanto completi quanto pronti, tanto eleganti quanto longevi. La Bussia si declina in tre versioni differenti per necessità e vocazione, non di certo grazie a parametri enologici differenti ma con la medesima gestione di cantina, dando modo alle tre voci differenti di farsi sentire. Se il Colonnello rappresenta la parte più eterea, Cicala ha una profondità inesauribile e Romirasco – provenendo anche dall’annata 2017 – non cede un millimetro in tensione palatale.

Competizione a parte per Granbussia 2006, una stratificazione rara all’olfatto con i primi vagiti terziari a sommarsi al frutto croccante e vivo del Nebbiolo, sfumature potenzialmente infinite per uno dei migliori vini mai passati su queste pagine. Sipario.

Terminato l’assaggio – di rigore senza accompagnamento – con Alessandro esploro le viscere della collina, lentamente trasformate in cantina da generazioni di uomini: sono presenti utensili e macchinari di altre epoche, un corredo affascinante e necessario per capire a fondo l’evoluzione del vino negli ultimi decenni. Le sale di affinamento sono separate tra bianco (Bussiador) e rossi, questi ultimi gestiti sia in botte grande sia in barrique a seconda delle necessità. Colpisce anche la capienza globale: la selezione feroce in vigna va a ridurre la produzione potenziale da 200.000 a circa 80.000 bottiglie, dove solo il “filetto” vede la bottiglia. Sul Granbussia la selezione è profonda e dal 2005 le bottiglie totali sono circa 3000, solo in annate grandi e solo in presenza di tutti e tre i vigneti nella Bussia. Per questa Riserva è adibita l’ultima sala con temperatura controllata da un pozzo naturale che mantiene circa 12 gradi e una ventilazione costante. Granbussia vede la luce nove anni dopo la vendemmia.

Concludo innanzitutto ringraziando Giacomo e Alessandro per tempo e assaggi, sperando di aver modo di approfondire i discorsi accennati in una manciata di ore di dialogo, in cui è emerso un attaccamento viscerale alla terra e alla Bussia: finchè avremo vignaioli di questo calibro il Nebbiolo sarà al sicuro.