Dalla mia esperienza ho notato un dettaglio che va a differenziare il mondo del Barbaresco da quello del Barolo: le aziende sono per la maggior parte a conduzione familiare e le dimensioni (in termini di ettari e bottiglie prodotte) sono simili, dello stesso ordine di grandezza. Inoltre esiste spesso un legame simbiotico tra una famiglia e un cru, legame che viene portato avanti dalle generazioni. Differiscono i cru di riferimento e le etichette prodotte, ma il sentimento comune del Barbaresco è legato in maniera maggiore alla dimensione familiare e al terroir, per quanto globalizzato possa essere oggi un vino così di successo come il Barbaresco. 

Incontro un’altra famiglia del Barbaresco, i Rocca di Albino, custodi di un cru – Ronchi – nella fascia che separa il comune di Barbaresco dal comune di Neive, sullo stesso crinale di Ovello, Montefico, Montestefano e Cole. Oggi l’azienda Albino Rocca è gestita dalle tre sorelle Monica, Paola e Daniela, figlie di Angelo, a sua volta figlio di Albino (il fondatore dell’azienda) e nipote di Giacomo, il primo a credere nella vinificazione a nome proprio. Certo, era un’Italia diversa e il vino di qualità non aveva lo stesso peso che ha oggi: merito di Angelo e oggi delle figlie aver creduto nella propria terra e soprattutto aver gestito il cambiamento di paradigma del vino negli ultimi 50 anni.

Monica mi mostra prima di tutto il Ronchi su cui si affaccia la cantina: da qui arrivano diversi vini e, grazie alle dimensioni delle vigne di proprietà, si può fare selezione per i vini più importanti. Monica e Daniela si occupano dei mercati, mentre Paolo coadiuvata da Carlo si occupa della vinificazione e delle vigne: Monica non mi nasconde che, giustamente, quando c’è da lavorare in vigna tutti sono chiamati a fare la propria parte.

La Cantina è apparentemente piccola perché sviluppata sotto terra e divisa in due unità unite da un corridoio (in foto): siamo in fase di svinatura per quella che si è dimostrata un’ottima annata. La produzione è ovviamente incentrata sul Nebbiolo, lasciando un po’ di spazio al Cortese (rarità nella Denominazione) che fa un bel passaggio in barrique per acquisire longevità. Di fianco Chardonnay, Moscato, Dolcetto e Barbera, ma le quantità sono irrisorie tanto da non permettere di avere sempre tutti i vini disponibili: la richiesta è tanta e sta aumentando. Con Monica riflettiamo sul fatto che è l’intera Denominazione a vincere grazie alla qualità dei singoli ma anche a un nome collettivo importante.

Nebbiolo? Quanto basta: Nebbiolo d’Alba e ben sette Barbaresco: assemblaggio, Angelo (da Ronchi, Ovello, Montersino), Montersino, Ovello, Cottà e Ronchi, in versione d’annata e Riserva. Possiamo anche finirla qui: si tratta (a parte per Ronchi) di piccoli appezzamenti che danno all’incirca una botte grande all’anno, quantità che le sorelle Rocca devono essere brave a gestire e bilanciare sui mercati. La botte grande prevale, regalando un filo conduttore di elegante balsamicità che si avverte in tutti i vini, dal Nebbiolo d’Alba in poi. Prevale la tradizione in un mantello di leggiadria, tralasciando l’opulenza anche quando la materia è importante, come in annate potenti (2012 e 2017). Se dovessi sceglierne uno direi Ronchi 2018, vino eloquente, profondo ed elegante, da un’annata che sposa bene la tradizione. Da non perdere.

Ho scoperto un altro angolino di Barbaresco che tornerò a visitare con regolarità, prima di tutto perché i vini sono ottimi e poi perchè Monica, Daniela e Paola stanno portando avanti una tradizione familiare vicina al concetto di Barbaresco che io ho in mente. Ringrazio la famiglia per l’ospitalità deliziosa.


Vini degustati: