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Seconda intervista con un personaggio in ascesa nel whisky italiano: stiamo parlando di Davide Romano, insieme a Fabio Ermoli, vecchia volpe del whisky italico, alla guida di Valinch & Mallet, imbottigliatori indipendenti con cui abbiamo già avuto a che fare…

Buona lettura!

1. Ciao Davide! Benvenuto su WhiskySucks! Ci puoi parlare brevemente della storia del tuo marchio?

D: Ciao Federico, grazie a te dell’invito! Tutto nasce qualche tempo fa da una chiacchierata con Fabio (Ermoli, ndr) sul suo aver accumulato botti, accuratamente scelte nel tempo così da tenere solo quelle che considerava veramente eccezionali, ma senza un piano ben preciso riguardante un eventuale marchio o progetto a riguardo. Così, durante l’estate 2015, ho maturato la decisione di chiudere con il mio precedente lavoro e di dedicarmi a questa passione, creando insieme a lui la Valinch & Mallet ed iniziando questa avventura.

Dopo meno di due mesi eravamo presenti al Milano Whisky Festival con 14 imbottigliamenti dai 16 ai 32 anni, e da Febbraio 2016 siamo presenti in altre 4 nazioni grazie ad accordi con importanti distributori specializzati, molti dei quali imbottigliatori indipendenti a loro volta, che dopo essersi innamorati delle nostre bottiglie ci hanno “razziato” il magazzino (12 imbottigliamenti su 14 sono già sold out)!

2. Secondo te, in che cosa si differenzia Valinch&Mallet dagli altri imbottigliatori italiani?

Valinch & Mallet nasce con l’obbiettivo di riempire un apparente vuoto esistente nel mercato: offrire dei single casks di altissima qualità e con invecchiamenti importanti (la media degli imbottigliamenti è infatti superiore ai 20 anni), provenienti da distillerie molto spesso assenti nei range di altri imbottigliatori, ma in una fascia di prezzo sensata, che ne permetta l’acquisto non solo a quanti vedono nelle nostre espressioni materiale da collezione, ma anche a chi il whisky lo beve solamente.
Un mio personale desiderio era poi creare un prodotto unico anche dal punto di vista estetico e collezionistico: desideravo qualcosa in grado di trasmettere sia la nostra passione che le capacità e la qualità dell’artigianato italiano nel realizzare oggetti di lusso, unici e irripetibili, già ampiamente apprezzati in tutto il mondo.
Abbiamo la fortuna di avere importanti accordi diretti con diversi broker (cosa tutto tranne che scontata nel panorama attuale), dandoci la possibilità di poter effettivamente andare a scegliere cosa imbottigliare, senza dover prendere “quel che c’è”, ma permettendoci di rifiutare tutto quello che non è per noi all’altezza.

3. Che te ne pare del whisky in Italia nel 2016?

L’italia ha avuto la fortuna di concepire personaggi importanti nella storia dei whisky, mi riferisco agli imbottigliatori indipendenti che hanno inaugurato filoni seguiti poi da tutto il mondo, pensiamo al concetto di Single Cask e di imbottigliamento a grado pieno per esempio.

Tuttavia non viviamo più negli anni ’90 e i veri player e mercati di riferimento si sono spostati altrove, relegando l’Italia ad un ruolo marginale nel consumo di whisky.
Il recente movimento hipster ha senza dubbio aiutato il mercato italiano, instillando la genuina curiosità di ritrovare qualcosa di “vecchio” (e quindi per questo curiosamente “nuovo”): in un mondo di bere trendy e “veloce” tanti giovani cercano ora il bere “lento” e ricercato, la qualità e l’artigianalità, e il whisky è una delle risposte. Tuttavia se dovessi pensare ai mercati che contano per richiesta attuale e futura, guarderei sicuramente all’estero: l’atteggiamento infatti verso la spesa è completamente diverso da quello italiano.

4. Quali sono le difficoltà principali del tuo mestiere, secondo te?

Quelle di qualunque imprenditore in realtà: mantenersi fedele ai propri principi pur rimanendo in grado di ascoltare il mercato. Nello specifico quella di non offrire quello che si sa che si riuscirebbe a vendere facilmente ma piuttosto quello che manca agli altri, quello che riesce a stupirci durante la selezione, nonostante ci possa mettere di più ad essere poi assorbito.
In generale invece quella di offrire sempre la qualità che ci siamo imposti di mantenere senza trasformarci in gioiellieri invece che imbottigliatori.

L’attuale trend in salita del costo del whisky non ci aiuta ovviamente, ma se fosse facile dove starebbe poi il divertimento?

5. Come mai la scelta di partire con questa avventura?

Provengo da un mondo lavorativo molto diverso, la finanza, tuttavia indipendentemente dalle prospettive economiche, mi sono reso conto che felicità e realizzazione come persona le avrei dovute ricercare altrove: se al mattino non ti svegli felice di quello che stai facendo e diventando, come persona intendo, dovresti lasciar perdere e cercare qualcos’altro. Quale modo migliore quindi che seguire una passione?
Ho anche avuto la grande fortuna di creare un business con la persona giusta: l’essere complementari ci aiuta molto nel nostro lavoro e la mia formazione precedente mi è sicuramente indispensabile nella gestione di una azienda, Fabio poi ha maturato un’esperienza lunga più di vent’anni nel mondo di whisky e prima del vino, oltre che capacità di selezione che al momento pochi altri hanno.

6. Cosa ne pensi dei whisky bloggers italiani e del mondo? Insomma, c’è da fidarsi?

e838b076a3cdbe71fca184d786c8b3d9-ValinchMallet_Collection_2E’ chiaramente un argomento delicato, e poi qui si gioca in casa dell’oste!

Premesso che un critico spesso vive grazie alle recensioni negative (quante copie si venderebbero se la top ten dei whisky fosse tutta scozzese? O che seguito avrebbero recensioni sempre e solo a pieni voti?), allo stesso tempo un giudizio esterno sui propri prodotti è importante anche per noi.

Non sono però un fan dei voti ai single cask: non che li tema, anzi, per formazione vengo proprio da un mondo in cui il voto lo si prende eccome, solo non ritengo sia possibile assegnare un numero ad una versione unica e irripetibile per natura: perché 87/100 e non 88 o 85? E qual è il metro di confronto per basarsi nella valutazione?

Leggo però con molto piacere la parte descrittiva con le note di degustazione: mi affascina vedere cosa nasi e palati differenti sentano nello stesso prodotto, e certe recensioni poi sono scritte magnificamente!

7. Hai qualche consiglio da dare ai bevitori di whisky?

Di bere.
Capiamoci, non a caso.

Ma di bere bene da subito, anche se costa di più.

Di avere la curiosità e l’umiltà di imparare qualcosa di nuovo ad ogni dram, di non elevarsi mai a esperto o giudice ma di lasciarsi stupire dopo ogni sorso. Distillare ma anche solo scegliere e imbottigliare un whisky, considerando come evolverà dal campione prelevato in botte alla bottiglia non è come assaggiarlo una volta stabilizzato per mesi: quella è la parte facile!

Provare, poi, a capire il perché un whisky sia così, non solo constatarlo a posteriori: spesso capendo il perché si riesce anche ad apprezzare qualcosa di più del prodotto finale, a capirlo meglio anche se magari non fa per noi come stile.

8. Lascio a te lo spazio per concludere come meglio preferisci!

Che dire di più? Mi ha fatto molto piacere questa chiacchierata anche perché il nostro è un lavoro in cui non si ha spesso la possibilità di dire la nostra al pubblico: è più un lavoro di costante ricerca e passione, lasciando fama e visibilità a giornalisti e negozianti.

Siamo però entusiasti della risposta che il pubblico ha avuto nei riguardi dei nostri imbottigliamenti: non c’è maggiore soddisfazione di quando, dopo una Masterclass o uno dei nostri Private Tastings (a breve nuovi appuntamenti a Milano e Torino), le persone ti dicono di aver imparato qualcosa di nuovo e di aver nutrito ancora di più la loro passione per il whisky. E per questi momenti che siamo orgogliosi del nostro lavoro!

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