STEFANO OCCHETTI – ROERO – VISITA IN CANTINA

Se c’è uno che ha avuto coraggio, quello è proprio Stefano Occhetti: qualche anno fa, dopo anni di lavoro di alto profilo, MBA e finanza, ha deciso di mollare tutto per tornare a zappare la terra, per usare un eufemismo. Ce ne sarebbe da dire sul downshifting, che talvolta è appannaggio soltanto di chi ha i mezzi per sostenersi senza lavorare, semplicemente investendo capitali et similia.

Stefano no: non avendo accumulato una riserva aurea sufficiente per mantenersi altri 60/70 anni, ha ripreso in mano la vanga, la zappa, la forbice, il trattorino e i tubi per i travasi e ha rinverdito alcune vigne del nonno, affittando un altro ettaro per i suoi bisogni produttivi. Siamo a Monteu Roero nella frazione che prende il suo cognome (come tantissimi in zona) e Stefano ha due ettari di vigna, di cui uno di proprietà e uno in affitto: da questi appezzamenti Stefano produce pochissime bottiglie suddivise tra Langhe Nebbiolo (di cui ho assaggiato l’annata 2019) e il Roero, in questo momento ancora in legno.

Fa un certo effetto misurarsi con la terra dei propri avi, specie per chi si è preparato e ha studiato per un altro tipo di vita e ha poi deciso in corsa di cambiare: l’umiltà di Stefano, l’emozione che trapela dallo sguardo quando parla delle vigne del nonno e ciò che mostra del lavoro in vigna sono un effetto non scontato di questo cambiamento radicale.

Le botti allineate in cantina sono poche e Stefano si deve raccapezzare con le doti che avrà appreso giocando a Tetris per far stare tutto nei contenitori disponibili, unendo spostando travasando imbottigliando. La massa del Langhe Nebbiolo 2020 è pronta e sembra sia in bottiglia da poco: un vino che racconta bene l’annata, diverso dal 2019 per forza di cose ma con il fil rouge della mano di Stefano per un vino già oggi estremamente beverino, che è poi l’unico obiettivo del Langhe Nebbiolo.

Assaggio anche le botti destinate al Roero: sono due cru (Occhetti e Sanche) e Stefano non sa ancora come comportarsi. Se le botti singole sono di gran gusto, il “blendone” che proviamo a fare lascia interdetti per completezza, un vino che non ha nessun timore nello stare a fianco agli invadenti cuginetti langaroli, quelli che iniziano per B. Vedremo quali saranno le scelte di Stefano, in ogni caso non vedo l’ora di assaggiare i suoi vini.

Concludo: Stefano Occhetti fa il suo dovere per ottenere ottimi vini, e la mia impressione è che sia soltanto l’inizio di un’avventura con solide basi. Non perdete l’occasione di provare il suo vino: io di certo non lo farò. Stefano, sei avvisato.