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FIORENZO NADA – TREISO – IN CANTINA
Proseguo nella scoperta delle tante – piccole e operose – cantine che fanno grande il Barbaresco, un territorio tanto limitato quanto denso di qualità, grazie in particolar modo alle famiglie che si sono prese carico della terra e della costruzione di un patrimonio vitivinicolo unico e difficilmente riproducibile altrove. La dimensione del Barbaresco parla la lingua dell’azienda familiare, bottiglie annuali limitate e tra il singolo cru e le tre/quattro vigne da cui pescare per provare a ottenere grandi vini.
La storia di Fiorenzo Nada è simile ad altre ma merita di essere proposta perchè archetipica e simbolica del Novecento italiano, un secolo che ha visto cambiare radicalmente la vita dei nostri antenati, nonni, genitori: la famiglia Nada arriva in Treiso nel 1921 con il bisnonno Carlo e i suoi sette figli. Mentre i quattro figli maschi vengono istradati alla campagna, le figlie femmine vengono date in sposa altrove, riducendo le bocche da sfamare e puntando sulla forza delle braccia, come si confaceva in quel momento storico. Una volta mancato il bisnonno, i quattro figli sono costretti a scegliere chi tra loro dovrà lasciare la casa paterna per trasferirsi poco lontano, dando inizio a una nuova attività: Fiorenzo estrae la pagliuzza più corta (letteralmente) e costruisce la casa che è oggi ancora sede della Cantina. Dopo decenni di conferimento delle uve, dal 1982 la famiglia decide di tornare all’etichetta propria e si dà il via a questa nuova declinazione di Fiorenzo Nada.
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Mi incontro con Danilo, quarta generazione e, dopo un percorso universitario del tutto differente, è tornato in azienda a proseguire il lavoro in vigna e in cantina, stando ben attento a seguire le esperienze di chi è stato qui prima di lui: conoscere la terra è necessario per dare il proprio contributo nella gestione dei vini, una gestione che si basa sul rispetto per i pochi ettari – circa una decina – che la Cantina amministra.Ci troviamo nel cuore del Rombone da cui ha origine il Barbaresco simbolo dell’azienda, seguito a pochi passi da altre due menzioni, ovvero Manzola e Montaribaldi, oltre al Barbaresco di assemblaggio e a un Langhe Nebbiolo, con Barbera e Dolcetto a completare il quadro.
Il vino più famoso nel passato è il SeiFile, ovvero un blend di Barbera 80% e Nebbiolo 20% – la selezione migliore tra le vigne di Rombone – che rappresenta la tradizione langarola di unire vitigni apparentemente distanti per caratteristiche ma proprio per questo complementari: un vino con tannino ed eleganza del Nebbiolo insieme al colore e alla fresca succosità della Barbera. La produzione globale si attesta poco sopra le 40.000 bottiglie con rese ben al di sotto del Disciplinare, dando vita a poche migliaia di bottiglie per ciascuna MGA e a qualcosa in più per le altre etichette.
Tutto parte dalla vigna, ovviamente, dove Danilo mi spiega nel dettaglio ciò che sta accadendo in questo momento di riscaldamento globale e con una serie di malattie che si stanno diffondendo in maniera preoccupante, tra cui il mal dell’esca che sta falcidiando in special modo la Barbera, non esitando a colpire il Nebbiolo e contro cui non esistono rimedi funzionanti al 100%, lasciando spazio a varie interpretazioni sulle cause di questa malattia. L’attenzione per la singola pianta è legata all’ecosistema di cui la vigna è parte, non soltanto un pezzo di legno che fa frutto ma un essere vivente calato in un ambiente più ampio in tutte le direzioni, dalle radici al Sole.
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Passiamo alla fase assaggio ed essendo quasi giunti all’imbottigliamento Danilo mi concede un assaggio completo da vasca, partendo dal Dolcetto 2021, passando poi alla Barbera 2020 e al trio di Barbaresco 2019. Abbiamo modo di analizzare a fondo le annate e posso apprezzare il tocco estremamente evocativo di tutti i vini, un filo conduttore esplicito e coerente con le parole di Danilo. Il trio di Barbaresco si evidenza per le differenze insite, con il Rombone a fare la voce grossa, l’eleganza del Manzola e l’austerità del Montaribaldi con il suo vecchio impianto. Concludiamo con il Rombone 2018, gran bella bottiglia: con Danilo concordiamo che il Nebbiolo è l’uva migliore del mondo.
Le nuove generazioni langarole si stanno facendo carico di un patrimonio di vigne e di conoscenze senza precedenti nella storia locale e, non solo nel caso di Danilo, bisogna evidenziare l’acume e l’impegno indefesso nel provare a fare grandi vini. Perché questa terra si merita solo il meglio, parola mia.
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