PAITIN – BARBARESCO – VISITA IN CANTINA

Chi conosce la cantina Paitin? Pochi? Ero anche io uno fra quelli, ma da quando sono tornato dalla Cantina posso dire di aver trovato un’altra motivazione posteriore del mio amore per le Langhe. Se il Barolo è nome altisonante per via di prezzi importanti e quantità spesso ingiustificate, il Barbaresco si può fregiare di una qualità media a mio avviso superiore, frutto delle decine di aziende a conduzione familiare, dal patrimonio nebbiolifero similare per quantità e dall’incessante ricerca della perfezione, vocazione tanto utopica quanto irresistibile.

La tensione verso la qualità assoluta è ingrediente della visita, della manciata di ore che ho passato con la famiglia Pasquero-Elia, prima con Giovanni e poi con il figlio Luca. Siamo a Neive, cru Serraboella, una zona delle Langhe poco frequentata e che racchiude alcune pietre preziose della Corona del Barbaresco: non è un caso che gli Elia siano a Neive dal 1600, provenienti da Torino, e i Pasquero nel secolo precedente. Sarà per colpa del Nebbiolo? Indaghiamo.

Benedetto Elia, capostipite, acquista parte del cru Serraboella e la Cantina sotterranea a cavallo tra 1700 e 1800. I protocolli di vinificazione di Domizio Cavazza vengono appresi e declinati in Cantina. Secondo Elia prende le redini durante la Seconda Guerra Mondiale (abbondantemente minorenne) e la produzione è oggi nelle mani di Giovanni, Silvano e Luca. Poche parole e tanta sostanza: Giovanni mostra il giardino di casa, la vigna in Serraboella che dà vita ad etichette eccezionali. Una spedizione in partenza per l’estero ha al suo interno alcune casse di Barbaresco Serraboella 2009, ovvero l’usanza familiare di affinare parte della produzione per proporla in un secondo momento.

Si scende in cantina con Luca: la cantina di vinificazione è affacciata sulle vigne, mentre la cantina di affinamento è dalla parte opposta della strada e ci si può arrivare anche grazie a un tunnel sotterraneo, momentaneamente in ristrutturazione. Le botti grandi sono selezionate al millimetro e la parte tecnica è affascinante, anche la trama delle doghe va a influire sul risultato finale.Cura particolare è riservata all’affinamento in bottiglia, fondamentale per questa realtà tanto che è stata studiata una soluzione in collaborazione con il sottosuolo per avere temperatura e umidità costanti. Luca mi confessa il suo amore per la geologia, ed è un piacere ascoltare quanto abbia appreso su questo tema incredibilmente centrale nella produzione di Nebbiolo, interprete come pochi altri delle micro-differenze tra crinali in apparenza identici. Abbiamo modo di parlarne a lungo durante la degustazione che, con somma gioia, tocca tutti i vini dell’azienda: qui si fanno le cose per bene.

Si parte con il Roero Arneis Elisa 2020, poi il Dolcetto d’Alba Rivoli 2019 e la Freisa Bonina 2019, prima delle due Barbera Serra 2019 e Campolive 2017. Per il Nebbiolo il menù degustazione prevede Langhe Nebbiolo Starda 2019 e Nebbiolo d’Alba 2017 Ca Veja, concludendo con un trittico stratosferico di Barbaresco: Basarin 2018, Serraboella Sorì Paitin 2018 e Sorì Paitin Riserva Vecchie Vigne 2015. Che dire: meglio tacere.

Parliamo anche di cru e Luca mi spiega la sua visione della Mappa di Masnaghetti, da giovane interprete di questa zonazione. Mi spiega anche i retroscena sull’acquisizione di un pezzettino di Basarin, recente aggiunta al portafoglio di vigne che la famiglia sta portando avanti con dedizione e testa china. I risultati si vedono e ne parlerò ancora, con l’obbligo di tornare in vetta a Serraboella a scadenze regolari per godere dei frutti di questa benedizione.