Premessa
Re del Piemonte, vino noto in tutto il mondo, il Barolo riesce ad emozionare milioni di appassionati in ogni parte del globo. Quando si parla di questo vino, anche a chi esperto non è, si avvia una lunga panoramica di sensazioni e storie: il territorio delle Langhe è unico, con le colline ricoperte di vigneti e i piccoli borghi arroccati in cima, le cascine dove si vinifica e si affina questo grande rosso. Poi le persone, i nomi ormai entrati nel mito che hanno creato una leggenda: non solo i fondatori delle cantine storiche, non solo chi oggi rappresenta il Barolo in tutto il mondo, ma anche un ampio numero di piccoli produttori, enologi, viticoltori e contadini che portano avanti questa eccellenza.

Ho avuto modo di girare le Langhe e il territorio del Barolo varie volte: borghi e cantine in una zona concentrata, pochi chilometri quadrati dove prendono vita un buon numero di vini differenti, dove la vigna e il viticoltore danno un’impronta netta sul prodotto finale. Potremmo parlare di terroir, ma qui esistono più di un centinaio di micro-zone differenti che hanno un impatto notevole sul vino. Si parla di Menzioni Geografiche Aggiuntive, una sorta di zonazione necessaria per studiare e capire il Barolo: un’idea di Renato Ratti, nume tutelare delle Langhe e proprietario di una cantina storica, idea portata avanti da Alessandro Masnaghetti con grande precisione e un incredibile bagaglio di conoscenze sulle spalle.
Il Barolo può essere prodotto in undici comuni delle Langhe: Barolo, Castiglione Falletto, Cherasco, Diano d’Alba, Grinzane Cavour, La Morra, Monforte d’Alba, Novello, Roddi, Serralunga d’Alba e Verduno. Stiamo parlando di un territorio con circa 2000 ettari di vigneti (non solo di Nebbiolo) che danno vita a circa 14 milioni di bottiglie, un numero piuttosto basso che da solo potrebbe giustificare il prezzo di questo vino. Non tralasciamo però la capacità che hanno avuto in passato e continuano ad avere oggi i Produttori, coloro che il vino lo fanno, la bravura tecnica necessaria per raccogliere dell’uva da una pianta e renderla un capolavoro in bottiglia. Penso sia doveroso sottolineare l’importanza di chi il vino lo fa, a volte poche migliaia di bottiglie da piccoli appezzamenti che farebbero sorridere un qualsiasi produttore di altre zone più ampie e forse meno vocate alla qualità assoluta.
La produzione di questo vino deve sottostare a diverse richieste da parte del Disciplinare che vige in questa zona: oltre a provenire da uno o più degli undici comuni, il vino deve essere composto da sole uve Nebbiolo e deve essere messo in vendita a partire da 38 mesi dopo il Novembre successivo alla vendemmia, di cui almeno 18 mesi in botte di rovere, piccola o grande che sia. Per le Riserve il tempo si allunga fino a toccare i 5 anni.

Esempio pratico: un Barolo della vendemmia 2016 può essere venduto dal gennaio 2020, cioè 38 mesi dopo il 1 Novembre 2016. Una Riserva della stessa vendemmia sarà in commercio dal 1 Novembre 2021. Esistono ovviamente eccezioni in termini di permanenza in cantina, cioè con vini che rimangono molto più tempo in azienda prima della messa in vendita. L’importante è non uscire prima del termine previsto dalla Denominazione, nata nel 1966 come Denominazione di Origine Controllata e diventata Denominazione di Origine Controllata e Garantita dalla vendemmia del 1980. Il disciplinare prevede anche altri parametri da rispettare: la produzione per ettaro è limitata a 8 tonnellate di uva, la gradazione alcolica minima è di 13% e l’estratto secco minimo è di 22 grammi per litro di vino.
Questi dati tecnici spiegano lo scopo della menzione Barolo, ovvero l’eccellenza: la resa di uva per ettaro è piuttosto bassa rispetto ad altri disciplinari (la DOC Prosecco arriva a tollerare 18 tonnellate per ettaro, la DOCG Amarone arriva a 12 tonnellate). In determinate annate non positive o di fronte a uve non propriamente adatte alla creazione di un Barolo, l’Azienda può scegliere di declassare le uve a semplice Langhe Nebbiolo, e ho visto in molte aziende come questo succeda spesso, dando vita a vini rossi senza l’etichetta Barolo ma con una grande qualità intrinseca. Ricordo che investire in questo genere di attività di viticoltura garantisce buoni risultati economici a distanza, cioè dopo anni dalla vendemmia, e dopo un incessante lavoro in vigna, in cantina e nella promozione della propria azienda.

Ho parlato di Menzioni Geografiche Aggiuntive, un importante corredo alla DOCG che non rimane avulso nella teoria, ma può essere riportato in etichetta, dando vita a prodotti nati in una particolare zona o vigna che avranno un impatto differente sul mercato e nella mente dell’appassionato. Sapere che il vino che si sta bevendo è nato e cresciuto in pochi filari a qualche passo da un certo piccolo borgo delle Langhe fa sempre un certo effetto.
Riassumendo: il Barolo è un vino unico che si declina in tante varianti, a seconda del posto in cui nasce, dell’annata e dell’azienda che ne segue il percorso. Parlare di un singolo generico “vino Barolo” è fuorviante perché va a limitare la realtà di ciò che rappresenta questo vino. Resta una domanda: quale uva può creare un vino tanto importante? Soltanto una: il Nebbiolo.